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*Patanjali definisce il Kriya Yoga come quell'aspetto dello Yoga che favorisce la via verso il samadhi, cioè come un'introduzione al cammino descritto negli otto stadi (anga) dell' Ashtanga Yoga. Dunque, per il filosofo il Kriya Yoga non è una disciplina a sé o una branca dello Yoga come in seguito sarà inteso da altre scuole, egli elenca semplicemente quegli atti (Kriya, lett.: "azione"), quelle condizioni cioè necessarie alla via dello Yoga: la pratica, la conoscenza, la devozione. Le tre componenti del kriya yoga sono comprese anche tra i Niyama (2.32). Sorge la domanda circa la ragione di questa ripetizione. La spiegazione è la seguente: nel Samadhi Pada 1.2, Patanjali definisce lo yoga "Yoga citta vrtti nirodhah", come l’attenuazione e l’abolizione delle citta-vrtti. Egli è ben consapevole che tale operazione è tutt’altro che facile. I mezzi per raggiungere questo obiettivo sono descritti nel secondo capitolo, e si ritiene che debbano consistere nello yoga ad otto elementi o Asthanga yoga. Così egli inizia la sua descrizione: 2.1 - Ardore, perseveranza e intenzione determinata nella pratica (tapas), studio di passi scelti (svadhyaya) e abbandono al Signore (Isvara pranidhana) costituiscono lo *Yoga pratico (kriya yoga). 2.2 - Il kriya yoga dev'essere praticato per produrre lo stato interiore che attenua le sofferenze o afflizioni (klesa) e che facilita l'accesso al samadhi. 2.3 - Le afflizioni sono: la conoscenza erronea, il senso dell'ego, gli attaccamenti, le avversioni e la sete di vivere (paura della morte) (per approfondimenti sulle afflizioni (klesa) vedi Yogasutra #pag4) *Quindi il Kriya Yoga è quell'insieme di pratiche adatto ad attenuare le sofferenze dell'esistenza comune per poter iniziare il percorso verso il Samadhi descritto da Patanjali con gli "anga" seguenti Vediamo ora come vengono descritti Tapas, Svadyaya e Ishvara Pranidhana - Tapas: dalla pratica costante di disciplina e austerità segue la rimozione delle impurità e la perfezione di tutti gli organi del corpo. *Ogni tipo di tapas comporta un aspetto di esecuzione corporea per promuovere qualche forma di purificazione. Pertanto, la maggior parte delle pratiche di tapas comportano una riduzione delle tossine (mala). Questo comporta un concomitante miglioramento del funzionamento e delle prestazioni dei diversi organi e sistemi del corpo nella sua totalità. La sola aderenza ad un’esecuzione di tapas in quanto pratica fisica, tuttavia, non corrisponde al vero significato di tale concetto. Il praticante deve coltivare la comprensione che tale purificazione corporea produrrà in lui una corrispettiva purificazione mentale Vi possono essere innumerevoli forme di tapas (austerità, discipline): il praticante ne può scegliere una o più, adatte alla propria natura, e praticarle regolarmente. Il pranayama è considerato il tapas supremo (pranayamah param tapah) non esiste tapas più grande del pranayama. Perciò l’aspirante yogi farebbe bene a scegliere anche quest’ultimo come la forma di tapas cui dedicarsi. - Svadhyaya: dallo studio quotidiano individuale, deriva l’effettivo incontro con la divinità desiderata. *Il significato di svadhyaya comunemente dato è quello di «lettura regolare di qualche scrittura o libro sacro». Ma questa spiegazione non è sufficiente. Il prefisso ‘sva’ ha un senso di ‘possedere’: lo studente deve avere la sensazione di ‘aver fatto suo’ il materiale che sta leggendo. Pertanto, il testo studiato, per essere utile allo sviluppo spirituale, deve essere sempre lo stesso, giorno dopo giorno. Ciò produrrà il senso di possederne il contenuto e di averne fatta propria sostanza. Lo svadhyaya è la lettura-riflessione di un passo scelto di saggezza (salmo, sutra, ecc., cui il praticante sia particolarmente sensibile, ad esempio: **Gita 2° cap, st 54:72), con atteggiamento di devozione e ripetizione quotidiana, finchè il significato profondo sia diventato sua vera sostanza interiore. - Ishvara pranidhana: dalla pratica di isvarapranidhana (rituali con atteggiamento di resa/abbandono a Isvara), deriva la perfezione nel samadhi |